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Counseling Day 2023


 
Gli articoli di Dario Di Vico sul Corriere stanno facendo emergere le contraddizioni e le arretratezze delle nostre regole sul lavoro in generale e sulle professioni in particolare, paradigmatiche della incapacità riformatrice di chi ci ha governato da almeno trenta anni: siamo impantanati nel “vecchio” e non abbiamo la capacità di ripensare il corpo legislativo allora prodotto alla luce dei nuovi bisogni e delle nuove opportunità; produciamo leggi che, quando va bene, “coprono” una esigenza del momento, ma le scriviamo con attenzione spasmodica a non incidere sulle cause che l’ha provocata, in quanto si potrebbero toccare interessi e abitudini stratificate.

Mi piacerebbe entrare nel dibattito di inizio anno tra l’on. Giuliano Cazzola e Anna Soru di ACTA su “voglia di Stato e nuovo welfare”. Innanzitutto voglio precisare che la missione che mi sono assunto, dieci anni fa, quando ho promosso il coordinamento delle libere associazioni professionali (CoLAP) è l’emersione dei professionisti associativi, allora totali fantasmi alle Leggi, e in questo modo contribuire a modernizzare e liberalizzare il sistema delle professioni; non intendevo e non intendo cercare tutele da parte dello Stato, solo il dovuto riconoscimento per milioni di cittadine e cittadini del loro status di professionisti e della dignitas a questo status connessa. I professionisti associativi sono lavoratori eterogenei, non riconducibili direttamente alle partite IVA: non vogliono nuovi ordini o collegi, ma poche e buone regole in grado di regolamentare il mercato e informare l’utente delle loro capacità professionali.

Venendo al tema della previdenza vorrei fare due considerazioni su quella “degli altri”: una sulle aliquote previdenziali dei lavoratori dipendenti e una sulle Casse private dei professionisti ordinisti. Se è vero che i lavoratori dipendenti pagano le loro tutele con un prelievo contributivo pari a circa il 40 per cento della retribuzione, va assieme detto che i due terzi di questa aliquota viene pagata dal datore di lavoro e che essa è la causa dell’elevato costo del lavoro italiano, nonostante i lavoratori ricevano le paghe più basse, nonché della evasione di massa, che potremmo chiamare anche di necessità, da quella forma di lavoro e della marea montante delle partite IVA. Non sarebbe il caso di meditare su quelle aliquote? C’è una recente riflessioni di Tremonti che mi sembra vada in questa direzione: tassiamo meno il lavoro e più la rendita, ma avrà un seguito?

Le Casse private. Hanno spese di gestione elevate, anche a causa di consigli di amministrazione pletorici, rendimenti del capitale investito tra i più bassi, oltre al fatto che, salvo eccezioni, non garantiscono le pensioni oltre il 2040. Ora stanno chiedendo, e il Parlamento sta autorizzando, l’aumento dei contributi soggettivi senza che nessuno si domandi il senso, avendo ormai tutte le Casse adottato il metodo contributivo, della proibizione per il professionista di scegliersi la Cassa che più preferisce: è condannato a restare con la Cassa delle sua professione anche se questa è mal gestita!

Ed ora la gestione separata INPS. Il professionista associativo viene equiparato al lavoratore para subordinato e sottoposto ad un prelievo contributivo di circa il 26 per cento, interamente a suo carico, in cambio servizi prestati del tutto insufficienti: non ha la tutela degli altri lavoratori come malattia, infortunio, maternità, disoccupazione, formazione e un futuro pensionistico dignitoso.

Onestamente, ci viene difficile riconoscerci, nel chiedere che anche i professionisti associativi possano avere certi diritti, come quelli che vogliono tutele di Stato!

titolo: Niente assistenzialismo, solo giuste tutele
autore/curatore: Giuseppe Lupoi
fonte: Corriere della Sera
data di pubblicazione: 06/01/2010

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